Fiabe scritte nei Gruppi Archè



La bellezza delle Fiabe scritte dai partecipanti ai gruppi Archè mi ha spinto a creare questa pagina per permetterne la lettura ad un pubblico più ampio. Nei  messaggi trasmessi da Archè tutti possiamo rispecchiarci, identificarci e prendere parte al movimento di trasformazione. Ogni storia è la descrizione di un viaggio, a volte pieno di insidie ed ostacoli, ma proprio per questo affascinante ed avventuroso, ma arrivano sempre suggerimenti per superare le sfide e uscire vincenti.

In terra straniera e senza alcun punto di riferimento una Sciamana cercava un luogo dove poter vivere con naturalezza e spontaneità. Camminando vide sulla strada un piccolo villaggio di poche case. Da una finestre di queste si vedeva una luce, era la bottega di un’abile falegname. La Sciamana si mise ad osservare l’uomo e rimase stupita dalla sua abilità nel lavorare il legno. Era un uomo molto alto e robusto, aveva forti braccia, barba lunga e dei piccoli occhi scuri.

La Sciamana ebbe l'impressione di trovarsi a nord, in uno di quei paesi che aveva sentito nei racconti da bambina.

L'uomo dopo qualche minuto si accorse della ragazza, la guardo dalla finestra e gli si avvicinò. “Cosa ti ha portato in questo villaggio dimenticato da tutti'?” le chiese il falegname, “Chiedi e sarà dato.”

La Sciamana era spaventata, anche se non lo dava a vedere, una nota di sottofondo l'accompagnava e la teneva costantemente nella paura e nell’ansia.

Il falegname disse alla ragazza: “Avanza con fiducia e non avere paura, io vivo qua da solo da tanti anni e non mi spaventa più nulla. Sii comprensiva con te stessa e concediti cure amorevoli, non aspettartele da nessun altro e soprattutto non andare ad elemosinarle. Riscopri la gioia pura di essere quel che sei, non cercare di compiacere gli altri altrimenti vivrai una vita a metà, sempre frenata, senza essere padrona della tua esistenza, e al servizio della volontà di qualcun altro. Trasforma la frustrazione e la rabbia in forza propulsiva, quella forza che ti porta ad accettare ed amare ciò che la vita ti sta insegnando. Apri il tuo cuore alla vita e lascia andare ciò che è stato, ti è servito al tuo percorso per arrivare dove sei ora, non dare ascolto alla tua pigrizia mentale.”

La ragazza ascoltava interessata le parole dell'uomo, tanto che non si era accorta che sul villaggio era scesa la notte. Il falegname la invitò a trascorrere la notte nella sua bottega e la Sciamana si coricò stanca e sorpresa degli incontri che la giornata gli aveva offerto. Durante la notte inizio a sentire dei rumori provenire dall'esterno, si alzò e con la luce di una candela si avvicinò alla finestra. D'un tratto apparve uno spettro terrificante e mostruoso, nero con gli occhi incavati e la bocca insanguinata.

La Sciamana urlò e inizio a chiedere aiuto al falegname, ma dall'uomo non ebbe alcuna risposta, mentre sentiva lo spettro avvicinarsi.

I versi terrificanti dello spettro erano sempre più vicini, la Sciamana disperata immagino di morire, pensava di non poter far nulla contro con lo spettro terrificante e si rannicchiò dietro una porta in attesa della sua ora, non voleva morire ma non sapeva cosa fare.

Le vennero in mente alcune parole del falegname e si mise una mano sul cuore, si strinse forte un ciondolo che aveva al collo, una conchiglia di madreperla, e si ricordò che al suo paese queste conchiglie erano strumenti molto potenti, in grado di scacciare gli spettri e gli spiriti cattivi.

Si alzò in piedi e senza esitare affrontò lo spettro. Dalla conchiglia scaturì una luce potentissima che incenerì lo spettro brillando talmente tanto che in cielo apparve la sagoma dell'abile falegname. 

Da quel momento la Sciamana iniziò a vivere la sua vita con coraggio e senza paura.

Camilla 



Nella luce infuocata di uno spettacolare tramonto, una vagabonda con addosso un grande senso di separazione si annulla nel dolore.

Appare all'orizzonte uno gnomo brontolone avente sulla spalla una grossa e ruvida corda. Vedendo la vagabonda così afflitta le parla, cercando di consolarla e aiutarla a modificare la visione delle cose. La vagabonda, così confortata, si sente forte, in grado di superare gli ostacoli e prende uno splendido scudo d'argento, dono dello gnomo e, senza scendere a compromessi, compie con fiducia i passi necessari.

"Organizzati per il futuro, sogna e contempla tutto ciò che ami più fare, fidati" le dice lo gnomo. Le parole risuonano in lei e la fanno vacillare, mentre lo scudo scivola a terra lei si prende il capo tra le mani si mette ad urlare: "troppe volte sono caduta, la fiducia in me stessa non mi appartiene, non sono forse io quella vagabonda che non trova il suo posto nel mondo?" 

Lo gnomo pensò che la donna forse non sarebbe riuscita, e questo lo fece sentire impotente e abbattuto. 

La  vagabonda si alzò e girando le spalle allo gnomo si allontanò senza una parola. La sera incombeva e la strada, che costeggiava uno strapiombo sul mare, era al contempo affascinante e inquietante. La vagabonda la percorreva con passo leggero, aveva in mente di trovare un riparo, il porto era ancora lontano.

Uno sciacallo le attraversò la strada all'improvviso, la vagabonda sorpresa e atterrita si fermò di colpo, lo guardò fisso negli occhi. Lui ringhioso non si fidava, elaborare la perdita del suo piccolo, avvenuta per mano umana, gli era ancora difficile.

La pioggia spezzo l'incanto del tramonto, tutto si oscurò, le due figure ferme in un duello di sguardi si stagliavano nel tumulto degli elementi, immobili in un incantesimo che sembrò durare un eternità. Ad un tratto la vagabonda cadde in ginocchio consapevole dell‘anima gemella che le era difronte, entrambi soli a vagabondare, sembrava chiudersi un cerchio. Ella abbasso lo sguardo in un gesto di resa, la pioggia li aveva resi due figure indistinte ma uguali e affini nelle loro esigenze affettive e emozionali.

Catia 


In tempi antichi di cui quasi non si ha memoria, una zingara vagava in un bosco alla ricerca di frutti maturi e succulenti. Era estate, sugli alberi spiccavano rosse delle belle mele e pesche gialle. La zingara mirava alto, per prendere le migliori si arrampicava un po’ e poi le riponeva in un cesto. Improvvisamente sentì muovere le fronde dei rami e si spaventò molto. Una voce le disse “Stai tranquilla”, seguita da una figura malconcia, dalle vesti strappate e la pelle scura e sporca. Era un uomo sudicio e stremato, ma i cui occhi erano profondi e buoni, intrisi di paura e di una grande forza, quella che l’aveva aiutato a sopravvivere. Era un naufrago, con una gran voglia di parlare a qualcuno, di sentire un contatto umano. La zingara era invece riluttante, percepiva una svantaggiosa inutilità nel fare amicizia con lui.

Sentì crescere un forte desiderio di fuggire via. “Aspetta, ehi, aspetta! Non scappare!” le gridò lui, lei era decisa ad andare e corse il rischio di confondere una semplice richiesta d’aiuto con una pesante invasione nella sua pace ed intimità. Mentre fuggiva rimase intrappolata in una rete di spine ed ortiche che sembrava crescere per incantesimo intorno al suo corpo , come un sortilegio ordito dalla natura per fermare la sua corsa. Le spine le graffiavano la pelle e fu costretta suo malgrado a fermarsi. Adesso era lei ad avere bisogno di aiuto, l’arte che conosceva non le erano d’uopo ora, mentre la rete oscura e pungente la avviluppava tutta.

Il naufrago, che non l’aveva persa di vista, le si avvicinò , e quando fu a pochi metri, sorridendo un po’ beffardo disse : “Tieni questo e non sprecarlo”, lanciandole un bastone intagliato che aveva raccolto dal galeone, appartenuto allo sciamano che veniva dalle isole lontane . Il bastone aveva il potere di trasformare ciò che toccava in oggetti di legno d’arte, in decorazioni, figure, della forma che la persona pensava. Gli era servito moltissimo per costruire dai pezzi rotti della barca strumenti utili a sopravvivere. La zingara lo afferrò e iniziò a trasformare le spire dei rovi in dadi, cavallini, piccole case, monili di legno. Quando fu finalmente libera, si accovacciò a terra e si trastullò con tutte quelle piccole cose di legno che aveva creato, da tanto tempo non giocava più. Poi si alzò e rivolse lo sguardo al naufrago: “Ehi straniero, qual è il rapporto con te stesso?” Il naufrago rimase sorpreso da questa strana domanda, annuì senza parlare e scoppiò in una fragorosa risata.

“Ehi zingara ma perché una come te non sperimenta la leggerezza della vita? Sei oggi qui, domani là.. ma sembri appesantita, dovresti conoscere bene il vero valore delle cose e sapere che ben poco serve per godersi la vita”

La zingara lo guardò fisso negli occhi, raccolse il cesto e i frutti che erano caduti a terra e si avvicinò al naufrago porgendogli una mela, senza distogliere mai lo sguardo gli disse: "E’ vero, la mia casa è il mondo e la mia forza è grande. Grazie per avermi ricordato da dove vengo e che, se vado via, è per viaggiare. Andiamo sulla spiaggia a ringraziare il mare che ti ha preservato e ci ha fatto incontrare."

Si presero per mano e si avviarono verso nuovi destini, liberi e forti.  

Marialivia


In terra straniera e senza alcun punto di riferimento, una mendicante procedeva a tentoni. Era cieca, non vedeva nulla e seguiva solo le sue intuizioni. All’improvviso sentì il sibilare di una freccia d’argento che saettò davanti a lei, conficcandosi esattamente al centro della sua fronte. La mendicante cadde in ginocchio, sentendo tutto il suo bisogno di emozioni. Di ciò che accadeva intorno a lei, per ora, aveva avuto solo una visione parziale e i suoi desideri nascosti non riuscivano ad emergere. Disse a sé stessa: «Ora basta, devi sciogliere il nodo e affidarti alla tua forza interiore». Camminando nel buio dei suoi occhi, non si accorse che si stava avvicinando a un luogo molto pericoloso. Era pieno di sassi e buche e più volte inciampò, rovinando a terra e rotolando nella polvere. Fu lì che si rese conto che doveva fare scelte diverse da quelle fatte per una vita e aprirsi a nuova visione.

Una voce lontana pareva le dicesse: «Non ti soffermi ad ascoltare le verità scomode, fatichi a riconoscere e ad accogliere tutto ciò che sei. Non fuggire da te stessa!». Quest’ultima frase la colpì molto e, più che una voce lontana, le sembrò proprio un urlo, proprio in quel momento avvertì una presenza vicino a sé e chiese: «Chi sei?». La voce rispose: «Sono uno gnomo brontolone», la mendicante allora disse: «Che cosa vuoi da me? Perché mi dici queste cose?», e lo gnomo ribatté: «Voglio che tu ti renda conto di dove sei». La mendicante pianse forte e da quelle lacrime iniziò a vedere dei fasci di luce, prima delle forme indistinte, poi i contorni delle cose apparvero sempre più definiti. Ella vide finalmente davanti a sé lo gnomo brontolone che la guardava e un po’ rideva. La mendicante era risentita dalle risate dello gnomo, lei stava soffrendo e lui rideva. Molto arrabbiata gli chiese: «Perché ridi?». Lo gnomo le diede un colpetto sulla guancia e le tolse la freccia d’argento che portava ancora sulla fronte. Le disse: «Non ti rendi conto ancora di cosa è accaduto oggi, prima eri nel buio, ora sei nella luce. Va con il cuore aperto e lo sguardo su nuovi orizzonti». 

Cristina


In precario equilibrio e tenendo a bada le vertigini, lo sciamano del villaggio stava fissando il grande albero cavo che si ergeva proprio davanti a sé, nel tentativo di non precipitare dalla sottile fune sulla quale stava camminando, lo sciamano ripensò al cambiamento che doveva mettere in atto: smettere di opporre resistenza. Così si concentrò ancora di più con lo sguardo sul grande albero cavo e cercò di non cadere nella grande trappola dei sensi di colpa che era sempre lì in agguato nella sua mente ogni qualvolta gli si presentava una prova superiore.

Cercò di lasciare andare il ricordo di quel fallimento avvenuto anni prima e di vederlo come una trasmutazione dal piombo in oro, quindi come un'occasione di crescita personale. Non doveva cadere nella rete della sua mente.

Tra sé e sé si ripeteva: Smascherati. Svelati a te stesso e rivela al mondo chi sei.

Si sentiva così ancorato a quella paura antica di deludere il suo popolo, che si sentiva insicuro di ciò che era. Solo quando il suo sguardo si alzò e guardò oltre l'albero cavo in direzione della regina prigioniera sentì che solo quando l'animo è leggero risulta più facile prendere consapevolezza e agire per il proprio bene.

Lo sciamano, allora, ripeté tra sé: devo manifestare ciò che sono, e mentre questo pensiero gli ronzava in testa, sentì un messaggio da parte della regina prigioniera che gli diceva: "Ciò che ti manca è ciò che non ti stai permettendo. Hai fatto tutto ciò che era necessario per la tua gente, accetta un aiuto per chiarire le idee." 

Lo sciamano sentì il cuore inondarsi di gratitudine incondizionata con entusiasmo rinnovato e, proprio in quel momento, in concomitanza di un velenoso morso di serpente, sentì il messaggio trasmesso da quel morso: "liberati dai meccanismi di attaccamento".

Quel morso di serpente lo distolse dai pensieri facendogli perdere l'equilibrio, ma per fortuna lo sciamano riuscì ad arrivare dall'altro capo della corda e raggiungere la regina. Le slegò i polsi e le caviglie, curò le ferite e la condusse al suo villaggio per presentarla alla sua gente e per rendere pubblico il suo amore per lei.

Ammise davanti al suo popolo di portare dentro di sé quella paura di essere manchevole, come quella volta che il suo popolo era stato invaso e lui non aveva potuto aiutarlo perché era con lei, lontano dal villaggio.

Detto ciò pensò che fosse arrivato il momento di mettere fine all'autopunizione che si era inflitto: tenersi lontano da lei per non avere distrazioni dal compito di prendersi cura delle persone del suo villaggio. La sua gente lo rassicurò, nessuno lo riteneva manchevole e il suo amore per la regina fu riconosciuto e rispettato. 

Elena


Avanzando con estrema prudenza sul terreno scivoloso, una sacerdotessa si muoveva con cautela in uno spazio di infinite possibilità.

Si rendeva conto che rischiava di cadere, tuttavia cercava di trovare in quell’ambiente, che si prestava al rischio, un nuovo stato di equilibrio.

Mentre camminava e imparava a scivolare come se stesse pattinando. Pensò che quel ghiaccio le ricordava alcune cose in sospeso che voleva risolvere.

In fondo al viale ghiacciato la sacerdotessa intravide un telo nero, come un muro che le voleva impedire di proseguire.

Nascosto vicino alle radici di un albero, scorse un antico pugnale scintillante con il quale poté tagliare il telo nero.

Le arrivò un'improvvisa luce calda e confortante, al di là del telo nero non c’era più ghiaccio, ma soltanto erba verde, fiori, e un cammino lastricato.

Fece un passo per entrare nella nuova realtà e si trovò all’interno di uno spazio vivo e immenso.

Finalmente si sentiva in pace, intorno a sé vedeva una realtà esterna di cui si sentiva orgogliosamente parte. Le sue azioni avrebbero contribuito a farla sentire un abitante di quel mondo. Sentiva finalmente che quella realtà a cui ambiva, esisteva.

La sacerdotessa sapeva che in quella realtà si camminava sulle proprie gambe, nelle foreste e in riva al mare e che per risolvere i problemi ognuno doveva affidarsi alle onde creative delle proprie capacità e della propria immaginazione.

Mentre camminava, osservando con attenzione i dettagli di quel nuovo mondo, si trovò davanti un labirinto di specchi.

Un umile servo, che si stava riposando all’ombra di un albero, si offrì di accompagnare la sacerdotessa nel labirinto: “Non abbia paura, questo mondo è stato creato per le persone che davvero vogliono vivere nella luce.

Di tanto in tanto ci sono delle prove per testare la convinzione degli abitanti a vivere e a lavorare per la luce.

Quando ci sono queste prove lei faccia appello sempre a tutte le sue risorse morali e fisiche e vedrà che se davvero lo vuole potrà continuare a vivere qui. Deve contare sulle sue risorse e metterle in gioco, con animo leggero, sempre.”

La sacerdotessa con rispetto e concentrazione varcò la soglia del labirinto di specchi, richiamando a sé tutte le sue risorse per portare a compimento il passaggio.

Entrata nel labirinto si sentì confusa, mosse i primi passi con entusiasmo ma gli specchi la portarono a smarrire la via. Aveva bisogno di vedere un percorso tracciato, invece vedeva solo la sua immagine, che col passare del tempo si faceva sempre più preoccupata.

L’umile servo era lì per chiudere le buche, per agevolare il cammino della donna, per imprimere velocità al passo, ma si affidava all’intuito della donna per seguire la strada.

In preda allo scoraggiamento la sacerdotessa si fermò, si sedette, chiuse gli occhi e iniziò a meditare, per raggiungere una connessione con il pensiero più elevato e ricevere la soluzione. Con l’animo acquietato si rese conto di uno strano gioco di luci e riflessi che le indicavano la via.

Il silenzio che si era concessa e la connessione con l’alto le avevano permesso di trovare la strategia per individuare il cammino. I due uscirono trionfanti dal labirinto pronti a godersi la permanenza e ad entrare nella comunità del nuovo regno della Luce.

Elisa 


Sotto un cielo plumbeo che prometteva pioggia, una matrigna crudele camminava esausta in cerca di un riparo. Aveva un immenso bisogno di riposare, bere e mangiare, ma le porte delle case sembravano tutte sigillate al suo passaggio.

Ed ecco, da un vicolo stretto e buio, uscire una figura solitaria e fiera, che, rivolgendosi a lei, disse: “ Ehi signora, arriverà che per te il tempo della gioia”. La matrigna rimase impietrita e attonita. “Chi sei?”, gli chiese. “E cosa fai lì nell’ombra?” “Avvicinati”, le disse "Sto disegnando un’opera infinita, il giardino interiore del re. Il sovrano in persona me l’ha commissionata per distinguersi da tutti gli altri re sulla terra, che si fanno rappresentare con oro e gioielli”. La matrigna si avvicinò e rimase sbalordita dalla bellezza del dipinto che vide sul muro del vicolo. L’artista utilizzava proprio lo scettro del re per essere guidato nella sua creazione. La sua leggerezza la ammaliava e, per un attimo, seguendo I suoi movimenti, le sembrava di non sentire il peso del suo vecchio bagaglio familiare. Era un tormento, un orribile demone che talvolta dormiva ma che spesso conduceva le sue giornate, riempiendole di rabbia e sfiducia. Con tanta tenacia lo teneva a bada, ma la qualità della sua esistenza non poteva essere alta. Non era stata risolutiva nemmeno la crisi che aveva avuto di recente, e nemmeno quelle precedente. Ma ora, guardando quell’artista, sentì pulsare il cuore e senza indugiare si lasciò dire "I tempi sono maturi." Avvicinò l’artista e gli chiese: “Stai scegliendo cosa disegnare o è lo scettro a condurti?” “Domanda strana, signora. Se guardi bene e senti, ti accorgerai da sola che io sono sovrano della mia arte, lo scettro è solo lo strumento per sentirla di più. Tienilo tu, io continuerò il mio disegno perfettamente”.

La matrigna prese lo scettro in mano e continuò a stare lì, stanca, disarmata e in osservazione. Lo scettro tra le sue mani chiedeva solo di essere guidato nel creare cose nuove. L’orribile demone ora era debole e perso, perché lei si stava trasformando da matrigna a madre, a donna, a bambina, con una semplicità che funzionava tanto brillantemente quanto senza sforzo. Facendosi guidare dallo scettro, che la connetteva al suo cuore, iniziò a camminare. Era ora di assumersi tutta la responsabilità della sua vita. Prese la direzione fuori città, verso un orizzonte tanto ampio da far viaggiare il suo sguardo nell’infinito.

Marialivia


Lungo un’irta e sconnessa stradina che s’inerpicava lungo il fianco della montagna uno schiavo tentava di raggiungere la vetta per riuscire a liberarsi dallo stato di prigionia, per vivere finalmente una vita nell’abbondanza e nella ricchezza. 

Lo schiavo aveva capito che la soluzione dei problemi stava nella scelta, nel modo in cui guardava le cose, la scelta di fare diventare  una salita ripida e insormontabile era solo sua. Decise di affrontare la salita con la convinzione di potercela fare: “Sono stato fino ad ora uno schiavo, è stata molto dura, ma il mio cuore sa che quello che hanno visto i miei occhi è una piccola parte di quello che il mio cuore percepisce.

Ho bisogno di risvegliarmi dal torpore, di liberarmi dalle catene ed entrare nel mio spazio sacro dove sono custoditi tutti i miei talenti e le mie capacità, dove è nascosta la mia natura. Ho vissuto da schiavo per paura di sbagliare, paura di non piacere, paura di me stesso e di quello che potevo fare. Mi sono concentrato su ciò che mi fa paura dimenticando tutto quello che sono in grado di fare. Fino adesso è andata così, ma non significa che debba essere così per sempre.” Arrivato sulla vetta della montagna la vista si spalancò su una meravigliosa vallata. Da lassù riusciva a vedere le montagne, i prati verdi, le colline e perfino il mare. Quel meraviglioso paesaggio era illuminato da un raggio di luce, simile ad una luminosa polvere di stelle. "Lì dove finisce la luce è il posto dove voglio andare” disse lo schiavo lasciando andare ogni dubbio. “Mi stanno indicando la via e finalmente mi fido di ciò che sento, ora posso accedere ad uno spazio di infinite possibilità” disse, allargando le braccia verso il cielo." Lungo la via in discesa, condotto dalla scia luminosa di polvere di stelle, vide in lontananza la madre dolce e amorevole. Lo schiavo ebbe un tuffo al cuore per l’emozione e corse verso di lei per toccare con mano quello che gli occhi vedevano. "Ciao cuore mio” le disse la mamma “mi sei mancato tantissimo e finalmente sei qui, ho pregato ogni giorno sperando di rivederti, ho parlato di te ad ogni persona che ho incontrato, ho chiesto al cielo di poterti  riabbracciare.” Lo schiavo senza parole scoppiò in un pianto liberatorio e si strinse nell’abbraccio della madre. “Figlio mio che grande dono poterti rivedere e stringere a me, prendi tutto l’amore che ti è mancato in questi anni, stai imparando a ricevere e l’universo te ne sarà grato. Non sprecare le tue risorse, ricorda chi sei veramente, fa risplendere la tua anima, tu puoi. Sei coraggioso come un leone figlio mio anche se a volte ti senti fragile come un agnellino. Hai visto quello che hai fatto? “Si mamma”, rispose lo schiavo Ho scalato una montagna altissima e sono fiero di me, finalmente mi sento felice e sicuro delle mie capacità, è come se toccassi il cielo con un dito. Mi è venuta un’idea molto interessante: seguiamo la scia con fiducia e non lasciamoci più sopraffare dalle insidie che incontreremo lungo il cammino.” I due proseguirono lungo la strada che scendeva verso valle, dopo qualche ora di cammino un fumo insidioso, che cancella la memoria e insinua pensieri malvagi s’innalzò dal bosco. I due incuranti degli effetti lo inspirarono e furono vittime  del diabolico fumo. Persero entrambi i sensi e al risveglio tutte le emozioni vissute prima erano state cancellate. Madre e figlio si guardavano spaventati l’un l’altro senza trovare risposte alle domande che si ponevano: Chi sono? Cosa ci faccio qua? Chi è questa persona davanti a me? Vorrà farmi del male? Cosa devo fare adesso? Non tutto era perduto, avevano perso la memoria ma avevano conservato l'intuito, guardandosi negli occhi esplorarono le verità interiori, come se stessero scorrendo il film con le immagini più significative l’uno dell’altro. Nel film camminavano lungo la strada illuminata dalla luminosa polvere di stelle. I due capirono che quella visione era l’ennesimo segno che l’universo mandava loro per condurli nel posto più bello del mondo: il loro mare. Passo dopo passo, lo schiavo giunse al mare come uomo libero, accompagnato dalla dolce e amorevole madre.


Facendosi forza per non cedere alla paura di cadere nel vuoto, un’incantevole danzatrice, che possedeva il potere di dare forma a danze meravigliose, si trovò improvvisamente su un vecchio ponte instabile.

Il ponte era sospeso su uno strapiombo altissimo e continuava ad oscillare a causa della forza del vento che soffiava senza interruzioni.

La danzatrice era molto determinata, con le idee chiare e pronta a cogliere tutte le opportunità. Cominciò ad avanzare in fretta lungo il ponte, era impaziente di uscire da quella situazione spiacevole e fare ritorno a casa. Mentre stava per arrivare alla fine del ponte, due delle quattro funi che lo sorreggevano cominciarono a cedere e, prima che la danzatrice riuscisse a mettersi in salvo, si ruppero completamente facendo precipitare il ponte nel vuoto.

Quando si rese conto di quello che stava succedendo la danzatrice, facendo appello a tutta la sua determinazione e lucidità, riuscì ad aggrapparsi ad una trave di legno e urlò sperando che qualcuno potesse venire in suo aiuto.

Le sue grida furono udite da un cacciatore che stava passando nei pressi del ponte.

Sentendo le grida disperate della ragazza, il cacciatore si precipitò verso il luogo e vide la danzatrice sospesa nel vuoto. Le disse di non avere paura perché l’avrebbe aiutata e, con la grande passione che lo animava, prese una fune, la lanciò alla danzatrice dicendole di afferrarla e legarla intorno alle braccia. Quindi legò la fune al suo cavallo e cominciò a tirare ad un ritmo molto lento per non commettere errori. Purtroppo, la corda sfregando nella roccia non riuscì a resistere e in pochi secondi si ruppe, lasciando nuovamente la danzatrice sospesa nel vuoto.

A quel punto il cacciatore iniziò ad analizzare razionalmente la situazione; capì che era giunto il momento di trovare soluzioni straordinarie, egli sapeva che la danzatrice non avrebbe avuto scampo: era troppo lontana per essere raggiunta a mani nude e l’unica possibilità che aveva per trarla in salvo era appena sfumata.

A questo punto non le rimaneva molto tempo prima di perdere le forze e precipitare nel vuoto.

Allora si fermò, fece silenzio per cogliere tutti i segnali che gli arrivavano dall’interno pensando che avrebbe scelto solo ciò avrebbe funzionato al meglio, quindi prese coscienza della situazione e con delicatezza invece di opporsi alla realtà la accettò completamente e chiuse gli occhi. Così facendo improvvisamente dal precipizio, come per magia, apparve un'antica piramide che ergendosi verso l’alto prese la danzatrice e la sollevò portandola in salvo. Appena toccato il suolo, l’incantevole danzatrice corse verso il cacciatore e lo abbracciò ascoltando ciò che stava provando: la gioia di essere viva e poter ancora danzare. 

Il cacciatore accolse il caldo abbraccio la danzatrice, felice di averle salvato la vita. Ripensò a quello che era successo e a come si era salvata, un profondo sorriso pervase il suo volto, e la sua anima, stringendogli l’occhiolino gli disse: Ricordati cacciatore che stai giocando!

Barbara


In quello strano mondo così diverso dal suo, una Principessa si ritrovò su un sentiero. Alberi altissimi svettavano verso il cielo e gli uccelli parlavano tra di loro. Lei desiderava farsi voler bene da tutti e si mostrava sempre disponibile. Diceva a tutti gli animali che incontrava: non appesantire la tua vita, ti aiuto io!

Passava il tempo e la Principessa era sempre più conosciuta per il suo silenzioso operare.

Un giorno mentre camminava senza fretta nel bosco, osservando fiori e frutti, vide sotto il cappello di un fungo uno gnomo brontolone. Era arrabbiato, sbuffava e aveva le braccia incrociate.

Guardava in alto e mai davanti a sé.

La Principessa si avvicinò piano piano allo gnomo per non spaventarlo, gli parlò con tenerezza e lo invitò a sentire e ad esprimere ciò che aveva dentro, ciò che lo turbava così tanto.

Lo gnomo rispose che c’era qualcosa che lo tratteneva nel passato.

La Principessa, con cura amorevole, gli suggerì di trasformare la rabbia, che per tanto tempo lo aveva attanagliato.

Da una tasca del suo bellissimo vestito prese un prezioso anello e lo donò allo gnomo e gli disse: “Da questo momento in poi, tutte le volte che te lo metterai al dito dovrai gridare SE VOGLIO, POSSO! In questo modo entrerai in uno spazio sacro dove tutto è possibile.”

Lo gnomo continuava a brontolare, ma non se la sentì di rifiutare quel dono. La Principessa aprì la mano dello gnomo, gli pose l’anello e la richiuse con dolcezza, gli augurò buona fortuna e gli disse che lei sarebbe stata sempre al suo fianco. Lo gnomo smise di brontolare e si avviò col suo fagotto sulla spalla.

Si sentiva più rasserenato dopo quell’incontro e aveva voglia di scoprire cosa c’era alla fine della foresta. Camminò e camminò per molto tempo, ma la foresta si faceva sempre più fitta e intricata; lo gnomo camminava in mezzo ai rovi, sudava e sbuffava e ricominciò a brontolare. Il sentiero finiva davanti a una grande e vecchia quercia, tra le sue radici c’era un’apertura oscura che lo inquietò molto. Iniziò ad avere freddo e a sentire il suo cuore battere molto velocemente. Era indeciso sul da farsi: tornare indietro o entrare tra quelle radici?

Era come pietrificato e rimaneva immobile.

All’improvviso si sentì un tuono così fragoroso che lo gnomo sobbalzò, un lampo squarciò il cielo e si alzò un vento fortissimo che faceva piegare le chiome di quei grandi alberi.

Lo gnomo stava per volare via, con forza si aggrappò ad una radice della quercia e si ritrovò dentro l’apertura. Scese giù, nel buio sempre più fitto, urlando. Non aveva appoggi attorno a sé e pensò di morire.

Atterrò su una pietra dura e umida, c’era odore di muffa e muschio. Si guardò intorno e vide tanti corridoi che andavano in altrettante direzioni. Capì di essere finito in un labirinto sotterraneo. Non si perse d’animo e cercò di capire come trovare la via d’uscita. Tentò vari corridoi, ma finiva sempre in un vicolo cieco. Ad un certo punto si ricordò del prezioso anello donatogli dalla principessa e del grande potere che aveva. 

Senza esitare se lo mise al dito e gridò: SE VOGLIO, POSSO!  

In men che non si dica si ritrovò fuori dal labirinto, in un’oasi di luce al limitare della foresta. Gli alberi si erano diradati e finalmente vedeva il cielo azzurro. Davanti a lui c’era la Principessa, che gli sorrise e gli venne incontro per accompagnarlo verso il suo successo. 

Cristina


Con le spalle stanche e dolenti, a lungo gravate dal pesante fardello, un Cacciatore, camminando nel bosco delle sue emozioni, cercava disperatamente di ripulire il flusso che gli impediva di accogliere il vero. Dentro di sé, ad ogni passo, si ripeteva: Smetti di porre resistenza, ascolta le tue emozioni senza giudicarle. Amarsi significa rimanere nel qui ed ora. Utilizza il tuo intuito, solo così puoi dissolvere ogni ostacolo, ed esso ti indicherà sempre la via migliore. Ascolta i tuoi sentimenti profondi, facendo così potrai ricevere qualcosa di magico.

Le sensazioni iniziarono a pervadere il suo corpo tanto da portarlo ad un'apertura tale da sbloccarlo. A questo punto incontra sul suo sentiero una donna, il cacciatore la riconosce: è una giovane Madre dolce e amorevole, sembra smarrita, confusa e spaventata. Il cacciatore le chiede come si sente, la donna risponde che laggiù, dove il bosco si fa più fitto, uno Stregone molto potente le ha cancellato la memoria, insinuando in lei pensieri malvagi, aggiunge che lo stregone, per sentirsi piacevolmente eccitato, adesca giovani madri per spogliarle della loro tranquillità.

Il cacciatore udendo tali parole decide di andare alla ricerca del malvagio Stregone. Inizia a camminare con passo deciso con l’intento di ucciderlo, prosegue con passo veloce e ad ogni passo si sente più forte. Entra nel fitto bosco con coraggio e prosegue finché il malvagio stregone gli appare davanti arrabbiato e gli chiede chi fosse e cosa volesse. Il cacciatore senza pensarci un attimo estrae il suo arco e con estrema precisione scaglia una delle sue frecce, quella d’argento, dritta al suo cuore. Appena la punta della freccia d’argento si conficca nel cuore malvagio dello stregone, le anime prigioniere, intrappolate dentro di lui si liberano e le giovani donne tornano a ricordare e a sentire l’amore. 

Tutte le anime, colme di gratitudine, abbracciano il cacciatore e lo conducono in una dimensione di luce, di gioia, di serenità e di pace. 

Valentina


Psicoterapeuta Emanuela Presepi

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